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Writer's pictureLaurent Ferrante

La propaganda è più sottile di quel che credete

Noam Chomsky non ha bisogno di presentazioni, ma quando un nome si fa così

forte e autorevole paradossalmente si finisce spesso per citarlo molto – magari

pubblicandone aforismi sui social – e leggerlo poco.




Leggere o rileggere i lavori di Chomsky, invece, è un esercizio fondamentale per

chiunque voglia comprendere i meccanismi della propaganda operata dalle

democrazie moderne.

Siamo stati abituati a figurarci la propaganda come controllo diretto sui mezzi di

comunicazione da parte di un governo autoritario. Se pensiamo alla parola stessa,

ci vengono in mente le statue di Stalin, i manifesti di Mussolini, gli stendardi del

Terzo Reich. Questo perché, nei regimi totalitari la propaganda è evidente,

addirittura esibita.


Chomsky però ci mette in guardia: guai a pensare che la propaganda sia

appannaggio esclusivo degli stati autoritari, al contrario è proprio nelle democrazie

liberali che la propaganda trova maggiore applicazione poiché «Laddove lo Stato

non può più controllare il popolo con l’uso della forza allora bisogna controllarne il

pensiero con la propaganda».


In La Fabbrica del consenso, Chomsky ed Edward S. Herman spiegano appunto

che «Nei paesi in cui le leve del potere sono nelle mani di una burocrazia statale, il

controllo monopolistico dei mass media, spesso integrato da una censura ufficiale,

attesta in modo trasparente che essi servono i fini di un’élite dominante» mentre

«Dove invece non esiste una censura formale e i media sono privati, è molto più

difficile vedere in essi un sistema di propaganda in azione».


Il fatto che sia più difficile da scorgere, non significa però che la propaganda non

esista più. Significa piuttosto che è talmente pervasiva da non balzare più

all’occhio. E ciò la rende «Molto più credibile ed efficace di un sistema con censura

ufficiale».


Funziona a tal punto che persino gli operatori del settore mediatico «Sono convinti

di scegliere e di interpretare le notizie in modo oggettivo».

E in effetti, sottolineano Chomsky ed Herman, essi sono spesso obiettivi sì, ma

all’interno dei vincoli loro imposti. Ossia all’interno del «quadro di riferimento», il

recinto ideologico-interpretativo costruito dall'élite e dagli interessi privati dominanti.


Questo recinto, spiegano ancora gli autori, viene costruito attraverso la

«Preselezione delle persone a cui attribuire la visione corretta delle cose» e la

costruzione di «Preconcetti» o Filtri riguardanti:

A. l’ordine sociale, economico, politico;

B. il posto riservato a ciascuno di noi nella struttura del potere in vigore;

C. i valori e i modelli di comportamento necessari al mantenimento dell’ordine

costituito.


A questo punto «tali vincoli sono così potenti e così intimamente connaturati con il

sistema che l’esistenza di criteri alternativi di scelta delle notizie appare pressoché

inimmaginabile». E sebbene i media possano dividersi in una certa  «diversità di

giudizi tattici su come conseguire obiettivi generalmente condivisi», le posizioni che

mettono in discussione le premesse fondamentali del sistema «verranno escluse

dai mass media». In questo modo il potere riesce a «marginalizzare il dissenso e

consentire al governo e agli interessi privati dominanti di far pervenire al pubblico i

propri messaggi».


La propaganda diventa così uno strumento di controllo degli immaginari atto a

comunicare simboli e codici di comportamento alla popolazione, affinché questi

penetrino in profondità. È in questo senso che Chomsky arriva ad affermare che

«La comunicazione sta alle democrazie come la violenza sta alle dittature».

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