La crisi delle catene del valore globali, accentuata dalla pandemia e dalle crescenti tensioni geopolitiche, sta mettendo in discussione il modello di globalizzazione che ha dominato gli ultimi decenni. In questo contesto, come evidenziato dall'analisi del professor Marco Canesi, il Sud Italia potrebbe giocare un ruolo strategico fondamentale.
La posizione geografica del Mezzogiorno, al centro del Mediterraneo, offrirebbe infatti vantaggi logistici significativi che finora sono stati ampiamente sottoutilizzati. In particolare, i porti di Taranto, Gioia Tauro e Crotone si presterebbero a diventare hub cruciali per il commercio marittimo, offrendo significativi risparmi di tempo e di costi rispetto ai porti del Nord Europa. Non si tratterebbe però solo di una questione di efficienza logistica, ma di rimettere l’Italia al centro di un progetto di ridisegno complessivo delle rotte commerciali globali.
L'attuale crisi del modello economico tedesco, basato su energie a basso costo importate dalla Russia e mercati di sbocco in Cina, apre nuove opportunità per il nostro Paese: il Sud Italia potrebbe infatti proporsi come alternativa per la riorganizzazione delle catene del valore europee, offrendo una posizione strategica per l'accesso ai mercati mediterranei e africani. Il continente africano rappresenta infatti una frontiera decisiva per lo sviluppo futuro, e il Mezzogiorno potrebbe diventare un hub naturale per le relazioni euro-africane. Questo richiederebbe però un serio cambio di prospettiva delle nostre classi dirigenti rispetto all'approccio estrattivo finora dominante.
Sebbene la strategia di Canesi per il rilancio dell’economia italiana faccia perno sulle infrastrutture, in realtà prevede un approccio olistico che guardi all’intero sistema-paese, fino a toccare anche il modello di impresa oggi prevalente. Non si tratta solo di costruire o potenziare i porti, ma di sviluppare un sistema integrato che includa retroporti efficienti, collegamenti ferroviari moderni e una rete logistica avanzata. Il concetto di "alta capacità" ferroviaria deve essere chiaramente distinto dalla semplice "alta velocità": non basta infatti connettere le grandi città su scala continentale, ma è necessario toccare anche una parte delle città di medie dimensioni in modo da permettere al servizio ferroviario regionale di fare da spina dorsale nella riconfigurazione dei sistemi insediativi e infrastrutturali su scala regionale.
Le infrastrutture potrebbero inoltre giocare un ruolo chiave nel rilancio dell'industria meridionale. La presenza di servizi logistici efficienti e collegamenti veloci potrebbe attrarre investimenti in settori strategici come la meccanica strumentale, dove l'Italia ha già una forte tradizione ma necessita di un salto di scala.
Il cabotaggio rappresenta un'altra opportunità sottovalutata: l'Italia, con le sue lunghe coste, potrebbe sviluppare un sistema di trasporto marittimo costiero simile a quello olandese, riducendo il traffico su gomma e i relativi costi ambientali ed economici.
Per quanto riguarda le industrie, secondo Canesi, è il settore della meccanica strumentale e delle macchine utensili quello che presenta le caratteristiche migliori per sfruttare al meglio le potenzialità del made in Italy nella nuova economia. La saturazione dei mercati di beni standardizzati, evidenziata da Canesi come causa strutturale della crisi degli anni '70, suggerisce infatti l'opportunità di puntare su produzioni personalizzate di alta qualità. Le PMI meridionali, che hanno ora una predisposizione verso la personalizzazione ex post, potrebbero conservare la qualità della produzione aumentandone però la quantità, convertendosi ad una personalizzazione ex ante – ovvero limitata ad una gamma di opzioni disponibili già al momento dell’ordine (similmente a quando avviene con gli optional nell’industria automobilistica). In questo modo la meccanica strumentale italiana potrebbe ottenere un vantaggio competitivo rispetto alle grandi multinazionali.
Questo settore, che produce i macchinari utilizzati da altre industrie, potrebbe diventare un volano di sviluppo per l'intero Mezzogiorno. La vicinanza ai porti faciliterebbe infatti l'esportazione di macchinari pesanti, mentre la presenza di manodopera qualificata potrebbe essere sviluppata attraverso programmi di formazione mirati.
Tuttavia, il limite principale delle PMI meridionali resta il sottodimensionamento: a questo proposito Canesi ha lavorato per anni all’elaborazione di un nuovo modello organizzativo, in modo da superare i limiti dovuti alle dimensioni ridotte mantenendo però la flessibilità e l’autonomia tipica delle piccole imprese. Tale proposta, che prende il nome di “Rete stretta” (da non confondersi con il modello a “rete corta” che non è paritario), consiste nel creare aggregazioni di 3-4 imprese complementari, che possano condividere alcune funzioni aziendali strategiche come la ricerca e sviluppo o la presenza commerciale all'estero.
Questa proposta presuppone però un’organizzazione territoriale basata su bacini "autocentrati" o “autoinnescanti”, vale a dire contesti produttivi autonomi caratterizzati dalla presenza di cicli di produzione completi (o comunque quasi completi) e da relazioni aziendali altamente frequenti e interattive, realizzabili anche faccia a faccia nell’arco di una giornata. Questi potrebbero favorire lo sviluppo di filiere produttive complete, superando l'attuale frammentazione e creando economie di agglomerazione.
Appare infine evidente che data la natura strutturale di questo progetto non è possibile aspettarsi la sua messa in atto senza un intervento decisivo da parte dello Stato. Non si tratta di tornare a un intervento pubblico di tipo assistenziale, ma di sviluppare politiche industriali mirate che favoriscano l'aggregazione delle imprese e lo sviluppo di infrastrutture strategiche.
La questione meridionale va quindi ripensata non come problema locale ma come opportunità nazionale in un contesto mediterraneo. Il Sud potrebbe diventare un ulteriore motore dell'economia italiana, complementare e non subordinato al Nord.
Le criticità non mancano: la carenza di competenze tecniche, la debolezza del tessuto industriale esistente, la necessità di ingenti investimenti infrastrutturali. Tuttavia, esempi come l’espansione dell’industria tedesca degli anni ’90 mostrano che trasformazioni profonde sono possibili con una chiara visione strategica e adeguate risorse.
La sfida più grande appare culturale: superare una visione del Mezzogiorno come problema per riconoscerne il potenziale strategico. Questo richiede un cambio di paradigma nella classe dirigente nazionale e locale.
In conclusione, il rilancio del Sud attraverso le infrastrutture non è solo una questione di giustizia territoriale ma una potenziale risposta ai cambiamenti degli equilibri globali. Il successo di questa strategia richiede però una visione di lungo periodo e un impegno costante, superando la logica degli interventi emergenziali che ha caratterizzato le politiche meridionaliste degli ultimi decenni.
La via indicata da questa analisi suggerisce che il futuro del Sud Italia potrebbe essere non nella competizione con il Nord ma nello sviluppo di una specializzazione complementare, basata sulla sua posizione strategica e sulle sue specificità produttive. Un obiettivo ambizioso ma non impossibile, se sostenuto da una chiara volontà politica e da adeguati investimenti.