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Caos globale e crisi dell'egemonia americana: lo scontro imminente nel mondo di Trump

Writer's picture: Federica GoriFederica Gori

La crisi dell'egemonia americana nel mondo sta raggiungendo un punto critico. Dopo il disastroso ritiro dall'Afghanistan sotto l'amministrazione Biden e la sostanziale sudditanza alla politica di Benjamin Netanyahu in Israele, l'immagine degli Stati Uniti come guida globale si è fortemente indebolita. In questo contesto di caos internazionale, Donald Trump si presenta nuovamente come il leader capace di riportare l'America al suo antico splendore. Tuttavia, come sottolinea Dani Rodrik su Project Syndicate, il vero pericolo per la stabilità del paese non viene solo dalle sfide globali, ma anche dal conflitto interno tra le diverse fazioni che compongono la sua coalizione.

Un'alleanza fondata su interessi opportunistici

Come sottolinea Rodrik nel suo articolo, Donald Trump si è presentato come un paladino contro le "élite", ma paradossalmente ha costruito la sua amministrazione proprio attorno a membri dell'establishment e della plutocrazia. Già durante il suo primo mandato, Trump si era circondato di politici repubblicani tradizionali, finanzieri di Wall Street ed economisti nazionalisti. In questo secondo mandato, il gruppo si è ampliato includendo una nuova fazione: la cosiddetta "techno-right", rappresentata in modo emblematico da Elon Musk, oggi l'uomo più ricco del mondo.

Rodrik sottolinea che questi gruppi non sono uniti dalla fiducia nella leadership di Trump, ma dalla convinzione che la loro agenda possa avanzare più facilmente sotto la sua amministrazione rispetto a qualsiasi alternativa democratica. I conservatori vogliono ridurre tasse e regolamentazioni, i nazionalisti economici puntano sulla rinascita della manifattura statunitense, mentre i fautori della libertà di espressione mirano a contrastare la cosiddetta "censura woke". Infine, la "techno-right" aspira a un futuro dominato dall'intelligenza artificiale e dall’innovazione senza vincoli normativi.

Rodrik evidenzia che, sebbene la maggior parte di questi gruppi non si opponga esplicitamente alla democrazia, sono disposti a tollerare e facilitare le tendenze autoritarie di Trump pur di vedere realizzati i loro obiettivi. Come scrive su Project Syndicate, questa accettazione passiva dell'autoritarismo è una delle minacce più gravi per il futuro del sistema democratico statunitense.

Il fragile equilibrio tra fazioni opposte

Secondo Rodrik, la principale linea di frattura nella coalizione trumpiana è quella tra i nazionalisti economici e la "techno-right". Entrambi si considerano anti-sistema e desiderosi di smantellare l'ordine imposto dalle élite democratiche, ma le loro visioni per il futuro dell'America sono diametralmente opposte.

I nazionalisti economici sognano un ritorno all'epoca d'oro dell'industria manifatturiera americana, mentre la "techno-right" immagina un futuro dominato dall’intelligenza artificiale e dall’innovazione tecnologica. Un gruppo è populista, l'altro profondamente elitista. Uno crede nella saggezza della gente comune, l'altro confida esclusivamente nella tecnologia. Uno vuole fermare l'immigrazione, l'altro accoglie volentieri lavoratori altamente qualificati. Uno vuole smantellare la Silicon Valley, l'altro rafforzarla. Uno predilige una redistribuzione della ricchezza a favore della classe operaia, l'altro vede i miliardari come motore dello sviluppo.

Rodrik cita Steve Bannon come uno dei più accesi sostenitori del nazionalismo economico. Bannon ha attaccato Musk definendolo un "immigrato clandestino parassitario" e avvertendo che la sua visione dell'America deve essere fermata perché potrebbe "distruggere non solo questo paese, ma l’intero mondo". Allo stesso tempo, Musk gode del sostegno di Trump, che gli ha concesso una posizione di rilievo nell’amministrazione attraverso il dipartimento informale chiamato "Department of Government Efficiency" (DOGE).

Uno scontro inevitabile

Come spiega Rodrik, Trump è noto per incoraggiare rivalità interne tra i suoi alleati, così da mantenere il controllo e impedire a chiunque di accumulare troppo potere. Tuttavia, questa strategia funziona solo quando le fazioni competono per risorse e posizioni di potere, non quando le loro ideologie sono in netto contrasto.

Le profonde divisioni tra i sostenitori di Trump, sostiene Rodrik, sono destinate a sfociare in un conflitto aperto. La vera incognita è cosa accadrà dopo: si arriverà a una paralisi politica o una delle fazioni emergerà come vincitrice? I democratici sapranno sfruttare questa spaccatura? Il trumpismo verrà screditato o, al contrario, ne uscirà rafforzato? E soprattutto, la democrazia americana sarà ulteriormente indebolita o potrà trarre beneficio da questo scontro interno?



Il destino della classe lavoratrice

Rodrik conclude la sua analisi su Project Syndicate evidenziando che, indipendentemente dall'esito dello scontro, i veri perdenti saranno i lavoratori meno istruiti che hanno sostenuto Trump. Nessuna delle fazioni in lotta ha un piano concreto per migliorare la loro condizione. Anche i nazionalisti economici, nonostante la loro retorica populista, si basano su un’illusione: l’idea che la manifattura americana possa tornare ai fasti del passato è pura fantasia.

Nel frattempo, mentre le élite di Trump combattono per le proprie visioni contrastanti del futuro, il vero problema resta irrisolto: la necessità di politiche economiche che favoriscano una nuova classe media in un’America post-industriale. Senza una strategia efficace, conclude Rodrik, questa sfida rimarrà irrisolta, lasciando un vuoto pericoloso nella società statunitense. 🔥 Il centro non può reggere 🔥L'egemonia degli Stati Uniti vacilla e rischia di trascinarci con sé. Ma esistono alternative? Lo analizzeremo nel nostro ciclo di incontri dal vivo, esplorando le dinamiche del potere globale e quale ruolo possibile per l'Italia.


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